LASPRO, October 28, 2014


Afghanistan. Maryam Rawi (RAWA): «Impossibile la democrazia senza indipendenza e giustizia»

La voce di Maryam al telefono è afona causa gli innumerevoli incontri che in questi giorni la vedono impegnata in molte città italiane, a illustrare la condizione dell’Afghanistan e del suo popolo

di Patrizia Fiocchetti

La voce di Maryam al telefono è afona causa gli innumerevoli incontri che in questi giorni la vedono impegnata in molte città italiane, a illustrare la condizione dell’Afghanistan e del suo popolo. Maryam Rawi, 39 anni e due figli è membro dell’Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan (RAWA), la più antica formazione politica del paese, da anni attiva in regime di clandestinità.


Mariam Rawi a Milano nel corso di un viaggio di un mese in Italia nel mese di ottobre 2014
Mariam Rawi a Milano nel corso di un viaggio di un mese in Italia nel mese di ottobre 2014.

«Le elezioni presidenziali sono solo l’ultimo esempio di quello che i fatti ormai da anni ci hanno dimostrato essere operazioni di vera e propria democrazia-farsa».

Maryam arriva subito al sodo della questione di cui molti in questi giorni le hanno chiesto. «È sufficiente osservare solo due degli aspetti che le hanno caratterizzate e determinate poi nel risultato finale: il primo è la presenza a vario titolo di ben 46 paesi sul suolo afghano, in testa chiaramente gli Stati Uniti, che non hanno lesinato aiuti economici a questo o quel candidato. Negli ultimi nove mesi, il tempo che ci è voluto perché si arrivasse all’annuncio del risultato elettorale, i rappresentanti dei vari governi occupanti hanno fatto la loro apparizione a Kabul, incontrato i due candidati Ghani e Abdullah nonché Karzai, rimasto fino all’ultimo così da garantirsi un futuro posto al sole nel nuovo assetto istituzionale. John Kerry, il Segretario di Stato statunitense ha poi ‘suggerito’ e di fatto imposto questa forma di governo di ‘unità nazionale’, composto dai soliti noti criminali signori della guerra; e qui si aggancia il secondo aspetto, la scelta dei candidati nonché le alleanze da questi strette durante la campagna elettorale e oltre: Ashraf Ghani, uomo formatosi negli Stati Uniti e da questo considerato una opzione sicura per la cura dei propri interessi in terra afghana, e Abdullah Abdullah figlio politico dell’Alleanza del Nord, criminali di guerra che tanto lutto e dolore hanno provocato al popolo afghano. Questi a loro volta hanno imbastito alleanze con i tristemente noti volti del jihadismo combattente basato sull’appartenenza etnica quali Dostum, Sayyaf, Mohaqqiq e tanti altri, gli stessi che dopo la guerra civile (1992-1996 nda) consegnarono il paese ai Talebani e che dal 2001 anno primo dell’occupazione straniera hanno governato le sorti del nostro paese. La sopravvivenza politica di Ghani e Abdullah è strettamente vincolata a loro. Può questo essere definito un processo elettorale democratico?».

Cosa cambierà per il popolo afghano?

«Nulla. No, non è esatto, la situazione è di fatto peggiorata. Innanzitutto vorrei precisare che questi soggetti, un collaborazionista come Ghani, un criminale come Abdullah Abdullah nonché i figuri di cui si sono circondati, non costituiscono in alcun modo una speranza di miglioramento per gli afghani. Tutt’altro, hanno un pedigree di crimini e corruzione di 35 anni. Escono dalle ennesime elezioni in cui non solo le denunce di brogli sono state numerosissime, ma il cui risultato nell’assetto politico è stato in tutto e per tutto determinato da uno stato occidentale occupante. E che come immediato regalo ha avuto la firma del Bilateral Security Agreement (BSE) che garantirà a Stati Uniti e ai suoi alleati il mantenimento delle proprie forze militari e il controllo delle basi strategiche del paese per almeno altri dieci anni. Insomma, il primo atto ufficiale del nuovo governo afghano è stata la consegna formale del paese nelle mani dei loro padroni. Trattasi di vero e proprio alto tradimento: quale futuro può aspettarsi la nostra nazione da un governo formato da iene affamate che hanno iniziato ad affilare le armi e ben presto si dilanieranno a vicenda?»


Mariam Rawi a Milano nel corso di un viaggio di un mese in Italia nel mese di ottobre 2014
Mariam Rawi a Milano nel corso di un viaggio di un mese in Italia nel mese di ottobre 2014.

Ci sono già conseguenze dirette nella vita degli afghani?

«Guardiamo alla sicurezza, un tema da sempre caro alle ragioni dell’occupazione. I raid aerei notturni americani o Nato su molte province afghane con la solita motivazione di colpire le basi degli insorti non sono mai cessati. E le vittime continuano a essere i civili, bambini innocenti, donne… Invece nei grossi centri come Kabul e Jalalabad, assistiamo a un aumento nella capacità di guerriglia urbana da parte dei talebani, che per ore tengono in scacco interi quartieri, con una facilità di azione e preparazione militare che dovrebbe far riflettere profondamente su quella che è stata la reale guerra al terrorismo portata avanti nel paese da Stati Uniti & C. in questi ultimi 13 anni. Inoltre, gli insorti hanno il controllo di intere aree dove applicano la Sh’aria, vedi il caso di alcune donne lapidate in pubblico; oppure si muovono liberamente in alcune province uccidendo cittadini innocenti come accaduto recentemente a Farah (Afghanistan occidentale nda): 17 operai di un’impresa statale sono stati rapiti e sgozzati. E poi, i sempiterni signori della guerra, i criminali che siedono al governo finanziati dal denaro straniero e protetti politicamente da molti rappresentanti della comunità internazionale. Ognuno di loro controlla pezzi della polizia e dell’Esercito Nazionale Afghano, senza contare che hanno formato delle vere e proprie milizie private armate e addestrate che scorrazzano indisturbate nelle città e nei villaggi. Pronti, quindi, a mettere a ferro e fuoco il paese nel caso si arrivasse a uno scontro aperto tra le varie fazioni che, sottolineo, utilizzano la divisione etnica come vero e proprio combustibile. Tutto ciò è il vivere quotidiano degli afghani. La popolazione giorno dopo giorno deve confrontarsi con pericoli sempre peggiori».

In una prospettiva cupa come quella illustrata, quali le azioni portate avanti da RAWA e il fronte democratico?

«Siamo impegnati a contrastare sia il nemico cosiddetto esterno, ossia l’occupazione, che quello interno rappresentato dai signori della guerra. Il fronte democratico non è forte come vorremmo: la mancanza di un deciso sostegno e riconoscimento politico da parte dei governi internazionali e la difficoltà economica sono degli ostacoli che si ergono di fronte alla nostra azione. Vorremmo fare molto di più, ma una cosa è certa, gli obiettivi sono chiari e comuni a tutte le componenti democratiche. Indipendenza, fine dell’occupazione, giustizia, diritti delle donne, tutte le attività portate avanti da RAWA, dal partito Hambastaghi (Solidarietà), dall’ex parlamentare Malalai Joya sono imperniate su queste parole d’ordine imprescindibili. Il punto positivo sta nella crescita sia quantitativa che qualitativa che abbiamo registrato nella partecipazione degli afghani, soprattutto giovani donne e uomini alle attività di denuncia che organizziamo. È però altrettanto necessario far giungere qui all’estero le richieste del nostro popolo e far conoscere alla società civile internazionale l’esistenza e l’attivismo di una forza democratica vitale che non si arrende e vi chiede di essere appoggiata e sostenuta. Solo la democrazia secolare, la giustizia, e l’indipendenza possono salvare l’Afghanistan restituendogli la sua dignità di nazione».


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