Per le colpe dei Talebani

The Washington Post, 20 Marzo 2002
di Peter Bouckaert e Saman Zia-Zarifi

KABUL- Achter Mohammed si aspettava un tipo piuttosto diverso di benvenuto, quando è tornato a casa in Afghanistan dopo 15 mesi di esilio in Iran. Ma ciò che contava per i signori della guerra uzbeki al potere nella sua città è la sua appartenenza all'etnia pashtun, e il fatto che probabilmente aveva dei soldi guadagnati col suo lavoro in Iran.

Tre comandanti uzbeki lo hanno preso direttamente dall'autobus, lo hanno portato nella loro base militare e hanno cominciato a picchiarlo con pesanti bastoni di legno, facendogli perdere coscienza più volte. Gli hanno rubato tutto quello per cui in Iran aveva lavorato duramente, compresi i regali per la sua famiglia. Quando lo hanno finalmente liberato, è tornato a casa, dove ha scoperto che anche lì era stato portato via tutto.

La quattordicenne Fatima aveva implorato i soldati Hazara di non violentarla, dicendo che era giovane e ancora vergine. Uno dei soldati l'ha minacciata con il suo fucile, ordinandole di spogliarsi, oppure l'avrebbe uccisa. Due soldati l'hanno violentata, e poi altri tre hanno violentato sua madre. La madre ha chiesto perché i soldati facessero queste cose. Le è stato riposto: "Siete talebani e pashtun". Prima di andarsene i soldati hanno picchiato il padre storpio di Fatima fino a fargli perdere coscienza, e hanno portato via tutto ciò che la famiglia possedeva. "Non ci è rimasto niente, il matrimonio e l'onore non ci sono più", ci ha detto la madre di Fatima.


"Le fazioni politiche nell'Afghanistan settentrionale stanno sottoponendo i pashtun a omicidio, percosse, violenza sessuale, rapimenti, saccheggio e estorsione."

"Le fazioni sono chiaramente in grado di bloccare gli abusi commessi dalle loro truppe locali quando decidono di farlo, ma visto ciò che hanno fatto registrare nel passato sarebbe temerario affidarsi ad esse per ristabilire la sicurezza e per proteggere i diritti umani."

"Nella provincia di Balkh, forze dell'Hizb-i-Wahdat di etnia hazara sono state coinvolte in diversi omicidi in stile esecuzione ai danni di contadini pashtun."

Human Rights Watch, 3 marzo 2002


Per i pashtun dell'Afghanistan settentrionale è il tempo della resa dei conti. Stanno pagando le colpe dei talebani, semplicemente per il fatto che la maggior parte della leadership di questi ultimi era di etnia pashtun. Lo scorso mese Human Rights Watch ha visitato decine di comunità pashtun nell'Afghanistan del nord, documentando direttamente la devastazione. Uno dopo l'altro, abbiamo visto villaggi che erano stati spogliati di tutto dalle milizie etniche, che in alcuni casi hanno preso persino il telaio delle finestre. Abbiamo scoperto numerosi casi di persone picchiate, di saccheggio, omicidi, estorsioni, violenze sessuali contro le comunità pashtun.

In un paese 37 uomini sono stati uccisi davanti alle loro famiglie, perché non avevano abbastanza soldi per comprare le loro vite. Molti centri abitati erano come città-fantasma, abbandonate da centinaia di famiglie pashtun dopo settimane o mesi di attacchi. E la violenza non è finita. Il nostro arrivo improvviso ha spaventato due uzbeki armati che erano arrivati in un villaggio della provincia di Faryab per estorcere denaro ai vecchi pashtun. A 200 miglia da lì, nella provincia di Samangan, un anziano era stato costretto a dare il suo gregge a un comandante locale proprio la mattina della nostra visita.



La posta in gioco in Afghanistan

The Washington Post, 20 Marzo 2002
Editoriale

Nella pagina a fianco oggi pubblichiamo un articolo che descrive l'aumento degli omicidi nei villaggi dell'Afghanistan settentrionale. Secondo gli autori Peter Bouckaert e Saman Zia-Zarifi, la violenza ha una base etnica; i presunti colpevoli sono legati all'Alleanza del Nord, la quale è l'alleata dell'America nella guerra al terrorismo. L'articolo non offre un'immagine completa di ciò che sta avvenendo nel vasto territorio dell'Afghanistan, né si pone questo obiettivo. Esso invece ci lascia intravedere le cose preoccupanti che potrebbero succedere se gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali abbandonassero il lavoro di ricostruzione, come hanno fatto dieci anni fa. E se l'Afghanistan dovesse implodere, o ricadere in uno stato di caos e di violenza generata dai signori della guerra, è difficile immaginare perché qualcuno nel mondo dovrebbe unirsi agli USA nelle prossime fasi della guerra al terrorismo.

Naturalmente, è profondamente ironico che il primo risultato della guerra al terrorismo sia stato quello di riportare a Kabul l'Alleanza del Nord, per la quale il terrorismo è stato l'unica attività e lo stile di vita per più di vent'anni.

Rimettere sul trono il presidente Rabbani, esponente dell'Alleanza del Nord - il quale fin dai primi anni settanta combatte qualsiasi forma di modernizzazione secolare del suo paese, per quanto moderata - non era nella lista dei desiderata di nessuno, il 12 settembre.

Andrew Murray,
The Guardian, 16 novembre 2001


I membri dell'amministrazione sono riluttanti ad impegnare gli Stati Uniti in un compito di "nation-building" in Afghanistan, e questo per ragioni comprensibili e sensate. Le forze USA stanno ancora combattendo una dura guerra alla ricerca dei leader di al Qaida e dei talebani, è difficile pensare al peacekeeping quando non c'è ancora nessuna pace da sostenere. Gli Stati Uniti hanno dato il via alla guerra contro i talebani, dovranno ancora essere al comando in altre parti del mondo; l'idea che altre nazioni dovrebbero assumersi la responsabilità di gestire le fasi di stasi, dopo la fine dei combattimenti pesanti, ha una sua forza logica. Più a lungo le truppe USA restano in Afghanistan, maggiore è il pericolo che corrono di diventare bersagli. E dopo decenni di guerra l'Afghanistan è un rudere, politicamente, economicamente, socialmente. La ricostruzione sarà costosa, protratta nel tempo e terribilmente complessa.

Questi sono ragioni sensate che spingono alla cautela. Ma nessuna di loro pesa più del pericolo sull'altro piatto della bilancia. Il maggior risultato conseguito nella guerra dell'America al terrorismo dopo l'11 settembre, o per lo meno, il maggiore tra quelli noti al pubblico, è la cacciata dei talebani dal potere. Con abilità e coraggio le forze USA hanno mostrato che qualsiasi regime che sostiene terroristi anti-americani deve essere pronto a pagare un grosso prezzo. Ma l'effetto dimostrativo benefico di questa lezione nel mondo non continuerà se ora l'Afghanistan ricade nel crimine e nella rovina. Ad esempio, nessuna persona di buon senso, in Iraq o al di fuori, starà dalla parte degli Stati Uniti in una campagna contro Saddam Hussein a meno che non ci sia una ragione per credere che gli USA daranno una mano anche dopo la cacciata di costui; la gente vorrà accertarsi che l'Iraq non si spaccherà e che al contrario comincerà a prosperare come non può fare sotto il suo attuale dittatore. Il modo migliore per convincere gli iracheni e i loro vicini di questa risolutezza consiste nel dimostrarla ora in Afghanistan. Il modo migliore per convincere queste persone che dell'America non c'è da fidarsi è quello di scrollare le spalle di fronte ai rapporti sugli omicidi etnici e sulle altre atrocità perpetrate dai suoi alleati afghani.

Finora l'amministrazione ha sostenuto che il suo sostegno allo sviluppo di un esercito nazionale afghano offre le migliori speranze di stabilità. Ma per costruire e addestrare una forza del genere saranno necessario molto tempo, molto probabilmente anni di lavoro. Nel frattempo gli Stati Uniti devono affrontare coraggiosamente i signori della guerra fuori dal loro controllo e aiutare ad estendere le operazioni di peacekeeping al di fuori di Kabul, in quelle parti del paese dove i civili sono in pericolo. Se la popolazione afghana fosse stata liberata dal dominio dei talebani solo per diventare preda dei signori della guerra che ritornano dov'erano, la storia non considererà una grande vittoria quella ottenuta dagli Stati Uniti.







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